La droga, la reclusione e poi l’incontro con Dio: così sono rinato
di GIORGIO PAOLUCCI su Avvenire del 28 dicembre 2024, pag. 6
«Vedi? È proprio qui, su questo marciapiede che è cominciata la mia discesa nell’abisso. Ma grazie a Dio non è stata l’ultima parola sulla mia vita, oggi sono un uomo rinato, e ogni giorno rinasco». Roma, piazza dei Cinquecento, Stazione Termini. Atanasio, 57 anni, ha voluto incontrarmi nel luogo dove si è fumato le prime canne passando poi a roba più forte, fino a perdersi nella tossicodipendenza, un vortice che lo ha avvolto e l’ha portato in prigione più volte per reati legati alla sua condizione. Una porta girevole dalla quale non riusciva a uscire con le sue energie, sempre più flebili e sempre meno capaci di resistere al richiamo della droga che si era impadronita della sua esistenza.
Anni di carcerazione, prima a Viterbo poi a Rebibbia, dove una luce si è accesa nel buio dell’esistenza. «Ero appena entrato in carcere, davanti all’ufficio matricola ho conosciuto suor Ancilla, una religiosa che presta servizio a Rebibbia. Mi ha regalato qualche caramella, poi è venuta a trovarmi, siamo diventati amici, ho capito che Dio era venuto a ripescarmi dal mare di male in cui stavo nuotando. E Ancilla era il volto con cui la Sua misericordia si manifestava».
Atanasio inizia un percorso di riscoperta della fede, sceglie la religiosa come madrina quando riceve il sacramento della Cresima. Poi l’incontro con Stefania e Paolo, volontari della Comunità di Sant’Egidio che lo accompagnano nel suo cammino e lo aiutano nella ricerca di un luogo dove affrontare in maniera adeguata la sua condizione di tossicodipendenza. «Restando in carcere non ne potevo uscire, Paolo mi ha messo in contatto con una comunità che potesse accogliermi e inserirmi in un progetto». È stata la mia salvezza perché facendo un’ecografia mi hanno diagnosticato un tumore al terzo stadio al fegato che neppure sapevo di avere e mi hanno operato prima che la malattia degenerasse».
Atanasio viene accolto in affidamento nella comunità Exodus a Cassino, una delle oasi “salvavita” fondate da don Antonio Mazzi nella sua infaticabile battaglia contro le dipendenze che ha ridato speranza a tante esistenze. Non è stato un cammino facile, il suo, popolato di salite e discese, con l’illusione di essere uscito dal tunnel e nuove, dolorose cadute. Ha seguito un percorso di disintossicazione nel quale oltre a ricevere le cure necessarie ha ritrovato ragioni per sperare, è diventato un ospite modello, collaborando con gli operatori di Exodus e diventando un riferimento per la comunità. Dopo sei anni è libero, sia dal carcere (ha finito di scontare la pena), sia dalla droga. Lavora in un’impresa di pulizia, guadagna quel poco che gli basta per vivere, ma soprattutto è grato a chi lo ha accompagnato nel suo percorso.
«Ho perduto gli affetti più cari: mio padre è morto a 51 anni, poi ho perso la mamma e due fratelli giovani, gli altri due non hanno voluto più vedermi quando ho cominciato a perdermi. La mia famiglia naturale non c’è più, ma ne ho trovate due che hanno abbracciato le mie fragilità: la Comunità di Sant’Egidio ed Exodus. Con i primi ho partecipato alla Messa di Natale e al pranzo nella basilica di San Bartolomeo all’Isola Tiberina, al pomeriggio sono andato alla sede di Exodus a Cassino. È là che ogni tanto ritorno per ringraziare chi ha salvato la mia vita. Il 12 gennaio faccio 57 anni, ma ogni giorno mi sento uno che festeggia il compleanno. E ringrazio Dio che è venuto a trovarmi e non mi molla più».