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Comunità Educante: un’esperienza tra politica, educazione e territorio

Comunità Educante: un’esperienza tra politica, educazione e territorio

Quando si parla di Comunità Educante, spesso si rischia di ridurre il concetto a una semplice collaborazione tra scuole, famiglie e istituzioni. In realtà, è molto di più: è una scelta politica, culturale e sociale, una sfida che richiede visioni comuni, alleanze solide e un impegno concreto nel tempo. Questa convinzione nasce dall’esperienza diretta, maturata in più di trent’anni tra volontariato e lavoro nel Terzo settore e impegno politico-amministrativo.

Ho imparato che una comunità si fa educante non per proclamazione, ma per capacità di prendersi cura degli adolescenti più fragili, di riconoscere i loro bisogni, di costruire risposte condivise e credibili. Non è solo questione di servizi o progetti, ma di relazioni di fiducia tra le persone e tra le istituzioni.

Nei miei cinque anni da assessore alla coesione sociale, ho visto come l’azione politica può favorire o ostacolare la nascita di una rete educativa territoriale. La complessità del mondo giovanile di oggi non può essere affrontata con soluzioni settoriali o interventi isolati: serve una comunità che sappia leggere il proprio contesto, riconoscere i problemi emergenti e attivare percorsi che coinvolgano sì gli attori sociali ma soprattutto, a livello personale, le donne e gli uomini che svolgono la propria opera all’interno delle proprie organizzazioni.

Questa consapevolezza della complessità educativa è il punto di partenza per ogni azione efficace: l’educazione non è mai un processo lineare e prevedibile, ma un intreccio di relazioni, esperienze e opportunità che devono essere costruite giorno dopo giorno. Una Comunità Educante è tale solo se sa mettersi in discussione, imparare dai propri errori e trasformare le difficoltà in occasioni di crescita collettiva.

Uno sguardo sui giovani senza pregiudizi

Per costruire una Comunità Educante, il primo passo è modificare il nostro sguardo verso i giovani e verso la comunità in cui viviamo. Troppo spesso, il dibattito pubblico sui ragazzi si nutre di semplificazioni e giudizi affrettati: si parla di “giovani fragili”, “senza valori”, “senza voglia di fare”, quasi fossero una generazione da rieducare o da salvare. Questa narrazione è non solo ingiusta, ma anche inefficace.

I giovani di oggi non sono più fragili di quelli di ieri, ma vivono una complessità diversa. Si muovono in una società che offre loro molte possibilità, ma poche certezze; una società in cui tutto è accelerato, iperconnesso, ma allo stesso tempo dispersivo e talvolta alienante. L’adolescenza è sempre stata un’età di passaggio, ma mai come oggi si è rivelata un territorio così incerto, in cui è difficile trovare riferimenti solidi e spazi in cui esprimersi in modo autentico.

Anche le comunità locali, in questo contesto, faticano a trovare un equilibrio tra il desiderio di protezione e la necessità di responsabilizzare i giovani. Si tende a colpevolizzare le nuove generazioni per la loro dipendenza dagli schermi o per il loro disimpegno sociale, senza chiedersi quali modelli educativi e culturali abbiamo offerto loro. Per questo, se vogliamo costruire una Comunità Educante, dobbiamo adottare uno sguardo più maturo, capace di leggere i bisogni reali senza pregiudizi e di offrire ai ragazzi opportunità concrete di crescita e partecipazione.

Essere giovani oggi è faticoso. È faticoso stare in relazione, perché la tecnologia offre connessioni veloci, ma spesso superficiali. È faticoso immaginare il futuro, perché l’incertezza economica e sociale rende instabili i percorsi di crescita. È faticoso trovare adulti di riferimento, perché anche gli adulti vivono un’epoca di transizione, in cui il loro ruolo educativo è sempre più fragile e messo in discussione.

Se la nostra comunità vuole essere davvero educante, deve partire da qui: dalla comprensione di questa fatica, senza minimizzarla o patologizzarla, ma cercando di rispondere con ascolto, cura e responsabilità. Dobbiamo creare contesti in cui i giovani possano sperimentarsi senza il terrore del fallimento, in cui le loro domande trovino spazio, in cui non siano solo destinatari di servizi, ma protagonisti di percorsi educativi condivisi.

L’educazione è un lavoro collettivo, una tessitura paziente di relazioni significative. Se vogliamo che i ragazzi crescano con fiducia in sé stessi e negli altri, dobbiamo prima di tutto dimostrare loro che la comunità c’è, che è presente, che è capace di accoglierli e accompagnarli senza giudizi o moralismi.

Ripensare l’azione educativa

“Per crescere un fanciullo serve un villaggio”. Eppure, oggi più che mai, il rischio è quello di delegare l’educazione a istituzioni specializzate, lasciando le famiglie sole e frammentando le responsabilità. Il risultato è un modello educativo fragile, in cui gli adulti faticano a riconoscersi come comunità educante, mentre i ragazzi restano in balia di un sistema che spesso li percepisce più come un problema da gestire che come soggetti in crescita da accompagnare.

Per costruire una vera Comunità Educante, è necessario superare la logica dell’emergenza e del bisogno immediato e iniziare a progettare percorsi educativi che abbiano una visione di lungo periodo. L’educazione non può essere solo un insieme di interventi riparativi, ma deve diventare un processo culturale, un cambiamento di mentalità. Questo significa riconoscere che ogni azione educativa è un atto politico e sociale, che non può prescindere da una riflessione sulla comunità in cui si opera.

Negli ultimi anni, il dibattito pedagogico ha sottolineato la necessità di una risignificazione dell’agire educativo, spostando l’attenzione dalla semplice trasmissione di regole e saperi alla costruzione di esperienze significative. 

Oggi più che mai, è necessario ritrovare un senso comune dell’educare, costruire una rete di legami che dia stabilità ai ragazzi e li aiuti a trovare il proprio posto nel mondo. Questo significa creare spazi di incontro, momenti di confronto, opportunità di partecipazione attiva.

In questo senso, la comunità educante non è solo un’idea, ma una pratica quotidiana, un modo di stare insieme e di prendersi cura dei giovani con uno sguardo lungo, capace di andare oltre l’emergenza e di costruire relazioni solide e durature. Solo così potremo dare ai ragazzi il senso di appartenenza di cui hanno bisogno per crescere con fiducia e responsabilità.

Il Consiglio Comunale dei Giovani

Uno dei temi centrali quando si parla di Comunità Educante è la partecipazione attiva dei giovani alla vita pubblica. Troppo spesso si considera l’educazione come un processo verticale, in cui gli adulti trasmettono saperi e valori ai ragazzi, senza immaginare che i giovani possano essere essi stessi protagonisti della costruzione del bene comune. È proprio per rispondere a questa esigenza che, durante il mio mandato da assessore alle politiche giovanili, ho promosso la nascita del Consiglio Comunale dei Giovani di Cassino.

L’idea di fondo era chiara: offrire ai ragazzi un luogo reale in cui sperimentare la partecipazione democratica, il confronto e la responsabilità politica. Troppo spesso si dice che ai giovani non interessa la politica, che sono disinteressati alla vita pubblica, ma la mia esperienza dice il contrario. Quando vengono messi nelle condizioni di esprimersi e di contare davvero, i ragazzi rispondono con entusiasmo e competenza. Il problema non è la loro mancanza di interesse, ma la carenza di spazi autentici di coinvolgimento.

Il Consiglio Comunale dei Giovani di Cassino non è stato solo un’esperienza simbolica, ma un laboratorio concreto di cittadinanza attiva. I giovani consiglieri hanno avuto modo di proporre iniziative, organizzare eventi, confrontarsi con l’amministrazione comunale sulle questioni che li riguardavano direttamente. Si è trattato di un percorso di apprendimento civico e politico, che ha permesso a molti di loro di sviluppare un forte senso di appartenenza alla propria comunità.

Ma il vero valore di questa esperienza è stato un altro: ha dimostrato che la partecipazione giovanile non è un’utopia, ma una pratica possibile. È una questione di metodo: se vogliamo costruire una Comunità Educante, dobbiamo smettere di parlare “dei giovani” e iniziare a parlare “con i giovani”, riconoscendoli come interlocutori alla pari, capaci di analizzare i problemi del territorio e di proporre soluzioni creative e innovative.

L’esperienza del Consiglio Comunale dei Giovani di Cassino si inserisce in un quadro più ampio, che riguarda la crisi della partecipazione politica giovanile a livello nazionale. Come sottolineato da diverse ricerche, la sfiducia nelle istituzioni non deriva da un disinteresse strutturale dei ragazzi, ma dall’assenza di spazi e strumenti adeguati per il loro coinvolgimento. Il compito delle amministrazioni locali dovrebbe essere proprio quello di creare queste opportunità, evitando di trattare la partecipazione giovanile come un elemento marginale o secondario.

Oggi, più che mai, è necessario ripensare il ruolo delle istituzioni educative e politiche nel rapporto con i giovani. Serve un cambio di prospettiva: i ragazzi non sono solo “futuri cittadini”, ma cittadini a pieno titolo, con il diritto e il dovere di contribuire al miglioramento della loro città. L’esperienza del Consiglio Comunale dei Giovani ha dimostrato che quando si dà loro fiducia, i ragazzi rispondono con passione e impegno. Questo è il senso più autentico di una Comunità Educante: un luogo in cui tutti, indipendentemente dall’età o dal ruolo, possono sentirsi parte attiva di un progetto comune.

La Casa di Willy: un’esperienza di comunità educante nel quartiere San Bartolomeo

Ogni comunità educante trova la sua vera misura nella capacità di intercettare i bisogni reali del territorio e rispondere in modo concreto. Il quartiere San Bartolomeo di Cassino, caratterizzato da un alto livello di disoccupazione, bassa scolarizzazione e scarse opportunità per i giovani, rappresentava uno di quei contesti in cui la mancanza di servizi educativi e aggregativi rischiava di generare isolamento e sfiducia. È in questo scenario che, durante il mio mandato da Assessore alla Coesione Sociale, è nato il progetto “La Casa di Willy”, un centro di aggregazione giovanile dedicato agli adolescenti del quartiere.

Ma ciò che rende questa esperienza ancora più significativa è l’origine stessa del progetto: l’impulso è nato proprio all’interno del Consiglio Comunale dei Giovani, il primo organo di partecipazione giovanile nella storia di Cassino. I giovani consiglieri, confrontandosi con le problematiche del territorio, hanno individuato nella mancanza di spazi per i ragazzi uno dei problemi più urgenti da affrontare. Da questa consapevolezza è nata la proposta di creare un centro giovanile nel quartiere più fragile della città, dando vita a un processo partecipativo che ha visto il coinvolgimento di istituzioni, associazioni e cittadini.

Un presidio educativo per il quartiere

Il progetto ha avuto una duplice valenza: da un lato, offrire ai ragazzi un luogo sicuro in cui poter crescere, incontrarsi e sviluppare nuove competenze; dall’altro, contribuire alla riqualificazione sociale del quartiere, creando un punto di riferimento per la comunità e promuovendo la collaborazione tra istituzioni, terzo settore e cittadinanza attiva. Non è stato solo un intervento educativo, ma un vero e proprio processo di rigenerazione sociale.

“La Casa di Willy” si è affermata come uno spazio polifunzionale, dove i ragazzi possono sperimentarsi in attività formative e ricreative: laboratori artistici, supporto scolastico, iniziative sportive, educazione all’uso consapevole dei social media. Un luogo in cui il tempo libero non è più solo un vuoto da riempire con lo smartphone, ma un’opportunità per crescere e imparare in modo informale.

Un progetto condiviso: la forza della rete

La forza del progetto è stata nella sua capacità di coinvolgere tutti gli attori del territorio: la ASL, per attivare percorsi di supporto psicologico e promuovere il benessere dei ragazzi; le scuole, per rafforzare il legame tra l’educazione formale e l’educazione extrascolastica; le associazioni giovanili e il terzo settore, per arricchire le attività con progetti innovativi; la parrocchia di San Bartolomeo, che da anni rappresentava l’unico presidio educativo nel quartiere.

Questa rete di collaborazione ha permesso alla Casa di Willy di non essere un intervento isolato o temporaneo, ma di inserirsi in una strategia più ampia di coesione sociale. La partecipazione della comunità locale è stata fondamentale per dare continuità e radicamento al progetto, evitando il rischio di un’iniziativa calata dall’alto e destinata a disperdersi con il tempo.

Dare ai giovani un senso di appartenenza

Alla base di tutto c’è un principio essenziale della comunità educante: i ragazzi devono sentirsi parte della propria città, riconosciuti come risorsa e non come problema. Troppo spesso le periferie vengono raccontate solo in termini di disagio e degrado, alimentando nei giovani un senso di esclusione e sfiducia. Con “La Casa di Willy” abbiamo provato a ribaltare questa narrazione, creando un luogo di crescita e protagonismo, in cui i ragazzi possano sviluppare competenze, costruire relazioni positive e sperimentarsi come cittadini attivi.

In questo senso, il progetto non è stato solo un servizio sociale, ma un’azione politica ed educativa, un esempio concreto di come le istituzioni possano favorire la nascita di spazi di partecipazione e di sviluppo per i giovani. Se vogliamo costruire comunità educanti autentiche, dobbiamo partire da qui: dalla capacità di generare luoghi di incontro e opportunità reali, in cui i ragazzi possano sentirsi parte di un villaggio che si prende cura di loro.

La comunità che educa fra relazioni e valori

Se c’è una lezione che l’esperienza ci insegna, è che una comunità educante non è mai uno spazio neutro, ma un campo di tensione tra valori e relazioni. Educare non significa solo trasmettere conoscenze o garantire servizi, ma creare legami, alimentare il senso di appartenenza, costruire significati condivisi. In una società in cui i rapporti interpersonali sono sempre più frammentati e le istituzioni educative tradizionali faticano a rispondere alle nuove sfide, la comunità può essere il luogo in cui le relazioni tornano a essere un fattore di crescita e non di esclusione.

L’educazione è un processo in cui si intrecciano dinamiche individuali e collettive, e in cui ogni relazione porta con sé una scelta di valore. Il modo in cui guardiamo i giovani, il linguaggio che utilizziamo con loro, le aspettative che nutriamo nei loro confronti non sono mai neutrali: riflettono una visione del mondo, della persona, della società. Per questo una comunità educante non può limitarsi a offrire strumenti o risorse, ma deve interrogarsi costantemente sui principi che la ispirano e sulle direzioni che vuole prendere.

La tensione tra relazioni e valori si manifesta soprattutto nelle periferie esistenziali ed educative, in quei contesti dove i ragazzi sperimentano il conflitto tra il bisogno di appartenenza e il desiderio di autonomia, tra il riconoscimento delle regole e la necessità di metterle in discussione. Spesso si tende a rispondere a queste tensioni con strumenti normativi o repressivi, dimenticando che il vero compito educativo non è imporre, ma accompagnare. Una comunità che educa è una comunità che non si accontenta di indicare la strada, ma cammina accanto ai ragazzi, con pazienza e coerenza.

Questa sfida riguarda tutti: genitori, insegnanti, educatori, amministratori, cittadini. Non esistono scorciatoie per costruire una comunità educante solida e autentica: servono tempo, cura e relazioni significative. Serve una società che sappia valorizzare le differenze senza trasformarle in barriere, che riconosca nei giovani non un problema da risolvere, ma una risorsa da coltivare.

L’educazione è sempre un atto politico, perché riguarda la visione di futuro che vogliamo costruire. Oggi più che mai abbiamo bisogno di comunità che sappiano tenere insieme il valore delle radici e la spinta al cambiamento, la memoria del passato e il coraggio dell’innovazione. Comunità che non si limitino a educare per il presente, ma che abbiano la forza di immaginare il domani, di lasciare in eredità non solo strumenti, ma orizzonti, non solo regole, ma sogni e possibilità.